Pagine

sabato 24 novembre 2012

Intervista a Tito Sartori, postulatore della causa di Beatificazione di Cecilia Eusepi


Il giorno dopo la beatificazione di Cecilia Eusepi, avvenuta il 17/giugno 2012, abbiamo intervistato il postulatore della causa di Beatificazione, padre Tito Sartori. L’intervista, curata da Erasmo Di Giuseppe, Don Mariano e Giorgio Le Rose, ha avuto luogo nel convento dei Servi di Maria, nella parrocchia di San Tolomeo, nel corso della quale padre Tito Sartori ha raccontato tutti i retroscena che hanno condotto alla beatificazione di Cecilia Eusepi. Partendo dalla storia della sua vita, al fine di comprenderne l’intimo significato della sua comunione con Dio, per giungere poi al processo di Beatificazione.




 Qual è stato il processo per arrivare a questo punto della Beatificazione, quali sono state le difficoltà e come è iniziato questo percorso.

La prima cosa da dire è che Cecilia Eusepi, ancora vivente, aveva provocato ai suoi concittadini, in maniera del tutto involontaria, una grande considerazione delle sue virtù, al punto tale che questa stima della sua vita santa per alcuni divenne causa addirittura di calunnia e di espulsione dalla fattoria la Massa. Questo è importante per capire le modalità attraverso le quali si è giunti al processo. Colui che più di tutti ha cercato di procedere nel senso della beatificazione di Cecilia fu il suo confessore e padre spirituale Gabriele Roschini, nativo di Castel Sant’Elia. La sua conoscenza con Cecilia inizio nell’ottobre del 1926 quando Lei torno a Nepi dopo essere stata oltre due anni “provanda per farsi suora mantellata dei Servi di Maria di Pistoia. Tornò suo malgrado a Nepi, perché nel settembre dello stesso anno il medico le aveva diagnosticato la TBC intestinale, malattia contagiosa, e quindi fu allontanata dal collegio per evitare il contagio alle altre candidate. Tornò a Nepi, distrutta psicologicamente non tanto per il ritorno, quanto perché essendo malata e dovendo andare dalla mamma e dallo zio alla fattoria la Massa che distava 3km da Nepi, non avrebbe potuto accostarsi ogni giorno alla Santa Comunione. Al suo ritorno si incontrò con il suo precedente confessore, padre Angelo Flamini, che chiamò ad assistere a questo incontro padre Roschini il quale si rese conto del dramma che stava vivendo questa ragazza. Quello fu un giorno benedetto per Lei, perché le promise di andare due volte la settimana a portarle la comunione e a confessarla. L’8 dicembre del 1926 chiese a padre Roschini l’autorizzazione di fare i voti perpetui privati di castità, povertà e obbedienza, cosa che lui concesse. Da quel momento la sua vita cambiò totalmente, perché pur cosciente che si avvicinava la morte, Lei, tuttavia, quando pensava che aveva Gesù nell’anima era un’altra, era felice.

C’è un particolare che non si può trascurare, senza il quale non si capisce nulla della Vita di Cecilia: la sua educatrice non fu sua madre, o perlomeno lo fu solamente fino a 5 anni, poi basta. A 5 anni infatti entrò nel Monastero Cistercense di Nepi, dal quale non ne usci più per 7 anni consecutivi. Dal 1915 al 1922 rimase sempre dentro le mura. La sua educatrice fu allora la grande badessa che si chiamava Donna Teresa Salvatori, che si prese cura di questa bimba, ne capì il valore umano e spirituale e la educò. Basti pensare che il 10 ottobre del 1917 Lei fece la prima comunione e a prepararla fu proprio la badessa e dopo la comunione le mise in mano la storia di Teresa del Bambin Gesù “Storia di un anima”, di cui si innamorò. Dai 5 ai 12 anni si passa da un atteggiamento passivo, recettivo della realtà esteriore, a un successivo momento critico di valutazione, anche della la prassi vigente nel monastero, dove la quantità orante pareva costituire la nota caratteristica della santità. Tale atteggiamento critico si sviluppò perché, leggendo quello che scrisse Teresa, capì che la santità non è nella quantità di preghiere, ma la santità era fare quello che piaceva a Gesù, e questo Lei lo capì a soli 7 anni.

Quindi un intuizione di una bambina straordinaria …

Ecco, questa bambina non è esatto chiamarla tale. Vede, un altro punto fondamentale da comprendere infatti è che Lei a 5 anni è entrata in un ambiente dove erano tutti adulti. E questa bambina al contatto con loro accelerò il suo sviluppo mentale, cominciando a ragionare come i grandi. Tutto questo insieme di realtà incise profondamente nell’anima sua. Lei metteva tutto a confronto, prospettando anche un aspetto critico verso le monache, e si faceva un idea sua di come camminare verso il Signore. Da qui nasce progressivamente il distacco dalle monache cistercensi. Quando Lei uscì svolse la professione di terziaria, e aveva solamente 12 anni, per questo dovette avere il permesso del suo professore Flamini che lui giudicò matura per questo passo. Poi Lei si ammalò e fu mandata, a Civita Castellana. Nel frattempo morì anche Donna Teresa Salvatori, morì la mamma nello spirito. Fu la morte della sua educatrice che creò il distacco totale dal monastero e decise di farsi suora mantellata di Pistoia.

Dunque la partenza per Pistoia avviene dopo la morte della sua madre spirituale ….

Si esatto … Lei trovò in padre Roschini un cuore aperto. Roschini di fronte a questa ragazzina, che tale non era, nel 1927 chiese consiglio al cardinale Lépicier (servo di Maria e suo professore) che gli disse di fargli scrivere il diario, che inizio il 27 maggio 1927 e nacque la “Storia di un Pagliaccio”. Da qui in poi si alternarono momenti di miglioramento della malattia a momenti di peggioramento, e ciò lo si avverte nella scrittura del diario. Nel mese di dicembre del 1927 passa poi qualcosa di incredibile, quello che i mistici chiamano “notte dello spirito e notte dei sensi” ( illustrate sia da Santa Teresa D’Avira che da San Giovanni della Croce). Il padre Roschini però non si accorse di questa purificazione che Dio gli imponeva. Nel gennaio del 1928 successe il guaio, gli arrivò la prima accusa contro lo zio Filippo Mannucci di gravare sulla fattoria e l’associazione dei combattenti voleva togliere la gestione della fattoria allo zio, per assegnarsela a loro stessi. Queste calunnie furono sparse fino ad arrivare ai proprietari della fattoria, i duchi Lante della Rovere che abitavano a Roma. Faccio una premessa. Ci sono due sogni di Cecilia che lasciano molto perplessi. Sono sogni che lei ha scritto nel diario. Il primo sogno è del 30 settembre 1927, quando le appare Santa Teresina del Bambin Gesù e le dice “tu hai un anno di vita”. Poi ci fu un secondo sogno nel 12 agosto del 1928 quando le apparve in sogno una suora da Lei ben conosciuta, con due gruppi di giovinette, nel primo erano tutte vestite di bianco, e nel secondo erano vestite da suora. Lei chiese alla suora a quale dei due gruppi doveva aggregarsi, e lei le rispose a nessuno dei due perché tu a ottobre “vestirai”. Cosa voleva dire… bisogna ricordare che lei aveva chiesto alla madre che le facesse fare l’abito delle monache mantellate Serve di Maria, quale abito da indossare il giorno della morte, che fu pronto nel luglio del ‘28 e che Lei provò. Il 28 luglio del 1928 dopo aver letto la vita del venerabile Beltrami, copiò la promessa che lui fa al Signore “di fare le cose più perfette”, avendo piena coscienza del rischio di questa promessa. Il padre Roschini accettò, e Lei questa promessa la mise in un sacchettino e la appese al collo. Quando morirà questa promessa avrà un significato. Il 12 settembre smise di scrivere il diario perché non ne aveva più la forza. Le lettere che scriverà non le scrisse più lei ma il cugino Vittorio sotto dettatura. Il 29 settembre padre Roschini tornò da Firenze e la assistette mentre stava morendo e gli face fare la sua ultima comunione. Padre Roschini, dubitando che fosse pienamente in se le domandò, prima di darle la comunione, “la vuoi?”, Lei lo guardò, e lui ribadì “la vuoi?” e Lei rispose con un tono di voce flebile: “padre non mi faccia soffrire così”, e allora le diede la comunione e dopo averla ricevuta fece una cosa incredibile, cantò, con la voce che potete immaginare, la canzone che avevano cantato il giorno della prima comunione “morir d’amore”. Poi diede la promessa (di fare solo cose belle) a padre Roschini, e fu l’ultimo gesto che fece. Dopodiché entrò in coma e alle 3,10 della notte del 1 ottobre si spense.


Siamo arrivati al momento in cui bisognerà iniziare il processo di Beatificazione, ci dica qualcosa sulla causa, come si è andati avanti, e come si è giunti alla splendida giornata di ieri.

Si seguì la prassi di allora del processo ordinario, gestito dal Vescovo e nel quale si raccoglievano le varie testimonianze, dopodiché si andava in congregazione, che dava il suo parere sulla proseguibilità del processo, attraverso la positio super cause introdutione. Una volta dato il suo parere favorevole, per Cecilia, si diede luogo al processo apostolico che fu fatto uno qui a Nepi e l’altro a Lucca. 

Quanti anni dopo la morte di Cecilia?

Dunque tale processo fu fatto a Lucca nel 1942 quindi 14 anni dopo. Nel processo apostolico, su mandato della Santa Sede, e dunque non più quello ordinario, furono raccolte le testimonianze al termine delle quali vi fu la positio super virtutibus che fu poi discussa dai teologi nel febbraio del 1987 e il primo giugno del medesimo anno vennero approvate le virtù eroiche. Però il miracolo ancora non c’era. A dire il vero ce n’era stato uno clamoroso di cui abbiamo traccia nel processo di Lucca del 1992 dove la miracolata tutt’ora vivente, suor Lina Civiero, depose. Però mancava la documentazione clinica, sicché non essendoci le prove non si è potuto far nulla. L’altro miracolo è avvenuto il 4 agosto 1959, quando un camion attraversò la schiena di Tommaso Ricci. L’autista, Adriano De Guidi, aveva sposato la nipote di cecilia, la quale, durante il matrimonio, gli aveva raccontato la santità della sua familiare. Questo spiega perché dopo che ebbe investito Tommaso Ricci (a Monte Romano), lui trasse dal portafogli l’immaginetta di Cecilia che portava sempre con se, e la invocò disperatamente dicendo: “Cecilia aiutami tu, sono rovinato”. A parte il fatto che era convinto di averlo ucciso, c’era anche il problema che il camion non era neanche assicurato. Colui che fu il teste che portò alla beatificazione, l’unico teste che vide tutto dalla A alla Z, fu Domenico Cavanna che fu presente al fatto. Lui vide tutto ma non poté mai parlare perché era il era il più giovane di tre fratelli e il più grande proibì a tutti di parlare perché preoccupato di eventuali conseguenze negative che potevano derivare da questa situazione. E quindi non parlarono mai. Quando nel ’92 io sono venuto a sapere del fatto, capii subito che era un caso clamoroso, capisce, un camion della guerra, un peso enorme che passa sulla schiena di un uomo che rimane illeso … non è possibile … allora cercai di sapere chi erano i testi. Ma non mi fu mai fatto il nome di Domenico Cavanna, proprio perché c’era l’ordine di non parlare. Il fratello dell’autista, invece, si presentò a me come teste oculare, e io quello che lui diceva lo presi come oro colato. Ma nel processo emerse una palese contraddizione tra ciò che diceva l’incidentato, che aveva già deposto sostenendo che a passargli sopra fosse stata la ruota destra, mentre l’altro affermava che era stata la ruota sinistra. A questo punto non c’èra sicurezza di prova, e non essendoci altri testi, la questione era chiusa. Telefonai dunque alla figlia dell’incidentato avvertendola di ciò. Lei dopo pochi giorni mi ritelefonò dicendomi che c’era un nuovo teste. Io meravigliato risposi “come c’è il teste?, chi è?”, mi rispose “Domenico Cavanna”, “ma non me lo avete mai detto” replicai io, e lei mi rispose “ha deciso di parlare solo ora”. A quel punto le dissi “prima di procedere lo voglio sentire, se non lo sento non muovo un dito”. Eravamo nell’aprile del 2008 e nel giugno andai da lui per sentirlo. Quando lui cominciò a parlare, precisando che non gli feci alcuna domanda, io rimasi sbalordito. Sembrava che lui sapesse tutte le difficoltà sollevate dai medici, smontandole una dopo l’altra come fossero birilli. Fortuna che avevo portato con me il registratore. Cominciavo a capire che ciò aveva dell’ incredibile. Trascrissi la registrazione e portai sia la registrazione vocale, per far capire che io non avevo suggerito nulla, sia la trascrizione cartacea. A questo punto mi dissero di procedere e di andare dal giudice di Civitavecchia chiedendogli se lo potesse interrogare. Andai dal Vescovo di Civitavecchia e gli esposi il caso e lui incaricò il giudice, il quale lo interrogò a dicembre, dicendo che poi l’avrebbe mandata alla congregazione. Quando giunse alla congregazione mi chiamarono dicendomi che quello che aveva dichiarato non corrispondeva esattamente a quello che avevo scritto io. A questo punto chiesi che lo interrogassero direttamente loro e accettarono. Si istaurò la commissione con il segretario Bartolucci che faceva da giudice, Turek faceva da notaio, alla presenza del dott. Ensoli, e del promotore della fede, che fecero un interrogatorio di ben due ore, al termine del quale si rimise tutto in discussione dicendo che bisognava far riesaminare tutto ai medici per le cose incredibili che aveva detto. Era quello che già aveva detto a me, ma ora era tutto documentato e formalizzato. E fu in virtù di questa deposizione che i medici dissero “ora abbiamo le prove, è qualcosa di inspiegabile”. I teologi hanno confermato e di seguito anche i Vescovi e i Cardinali, ed è stata Beatificata.

Nessun commento:

Posta un commento